Dicono che l’unione fa la forza.
Dicono che quando c’è divisione, questa forza viene un po’ smorzata.
E così, cerchiamo di capire… ma qual’è quella cosa che ci tiene attaccati, oppure staccati.
Dopo la costruzione del Mishkan, Hashem ci conta.
Hashem, spiega Rashi, conta il suo popolo perché lo ama. E qualcosa che ami, la conti. Come i diamanti, come qualcosa di prezioso.
Quando Hashem ci conta nel deserto, ci rivela quanto ci ama.
Infatti, è importante notare il modo in cui veniamo contati. Tutti nella stessa maniera.
Dal più nobile al più semplice degli ebrei, dal più erudito al più ignorante. Per Hashem non fa differenza.
Perché Hashem conta l’ebreo guardandolo da dentro. Da quella fiaccola che è una parte stessa di Hashem. La neshama. L’anima. O meglio, la parte più elevata della neshama, quella che ci unisce tutti e fa in modo che durante Yom Kippur, al tempio troverai qualsiasi tipo di ebreo. E non ti chiedi perché. Il perché è ovvio. In quel momento così elevato, la neshama dell’ ebreo, lo trascina al tempio. Senza un perché. Senza un titolo specifico, senza una nomina.
Sei ebreo e basta.
Bamidbar, è la Parasha che leggiamo prima di Shavuot. Si dice infatti, che quando gli ebrei si trovavano davanti al monte Sinai per ricevere la Torah, in quel momento erano uniti come se fossero una persona sola ed un cuore solo.
Erano sintonizzati e sincronizzati.
Erano forti.
Ed ora eccoci qua,
Da Tel Aviv, da tutta Israele, dove ci svegliamo in mezzo alla notte con le sirene. E i missili. E tutta questa storia così estenuante.
Ma com’è possibile che le cose siano arrivate a questo punto?
Ed è ovvio che non possiamo capire i piani di Hashem, però forse qualcosa possiamo cercare di fare.
Se l’unione fa la forza e se siamo a due passi da Shavuot un messaggio sicuramente è chiaro.
Guardiamoci tra di noi, come Hashem guarda noi.
Come Hashem fa quando ci conta.
Guardiamoci da dentro.
Oltre quelle dighe enormi.
Oltre le differenze su migliaia di opinioni.
Oltre l’orgoglio.
Oltre la marca delle scarpe o la bellezza di un viso.
Oltre chi ha torto e chi ha ragione.
Anche se a volte chiedere scusa quando hai ragione è l’ultima cosa che vuoi fare.
Ma che importa?
Quando sappiamo, che alla fine, quel che conta è che siamo fratelli e sorelle.
Che tutti stiamo affrontando la vita nel modo migliore che possiamo, o che crediamo.
Che è là che ci freghiamo a volte. Siamo cocciuti perché crediamo diversamente.
Perché vediamo diversamente.
Immaginiamoci per un minuto davanti al monte Sinai. Impotenti e potenti allo stesso tempo. Dove siamo uno. Uno soltanto. Un popolo. Un’ anima. Un miracolo.
Teniamoci per mano, unendoci, e guardandoci da dentro.
Mushki Piha Krawiec ♥️
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