In onore di Yud Shvat, Il giorno in cui il Rebbe diventó ufficialmente il nostro Leader, il nostro Rebbe.
Un’ispirazione per tutti noi.
Il Rebbe.
Essenzialmente basterebbe solo questa parola. Rebbe. E chi conosce, sa. Chi conosce, non dubita. Chi conosce, è fortunato.
Il Rebbe, che aveva una risposta ad ogni, singola, domanda.
Una risposta che ti piaceva. Quella che stavi cercando.
Il Rebbe che i miei genitori hanno incontrato a 770, io l’ho incontrato altrove.
Quando sono stata fortunata, l’ho incontrato nei sogni, in un mondo notturno dove la coscienza trascende le nozioni dello spazio e del tempo. Dove accade l’impossibile. Svegliandomi al mattino col più meraviglioso hangover spirituale, portandomi dietro un senso di pace e serenità.
L’ho incontrato nelle parole così mirate di quelle lettere che sembravano scritte solo per me. Mi riempivano il cuore di luce, e gli occhi di lacrime, emozionandomi. “Allora, mi vede, allora mi sente, allora il Rebbe é con me”.
L’ho incontrato nei video, dove il suo sguardo trapassa lo screen del mio cellulare, parlando direttamente alla mia anima.
O nelle centinaia di storie che non mi stanco mai di leggere, in cui mi perdo, ogni volta da capo. In cui non c’è volta che il Rebbe non mi lascia a bocca aperta.
“Il mondo è un giardino, ma non un semplice giardino. È il giardino di D-o”.
Così il Rebbe inizia il suo leadership. Queste sono le prime parole che escono dalla sua bocca per accettare il posto di Leader. “Bati Legani, Sono venuto nel mio giardino” il Rebbe ci dice, riferendosi allo statement di Hashem. Ci apre gli occhi con queste parole, passando quel messaggio che noi tutti abbiamo bisogno di sentire. “Hey, il mondo, quel mondo che ti delude a volte, quel mondo che non capisci o che pensi sia troppo confusionario, proprio quel mondo la, è il giardino di Hashem”. E tu inizi a raddrizzare un po’ più le orecchie. “Come? No, ti prego, dimmi di più….”
“Si, questo mondo è uno splendido giardino, e non uno qualunque, ma un giardino reale”.
Il Rebbe continua, “per tenere questo giardino curato e bello, bisogna lavorare duro”.
È il nostro duro lavoro, che ci permette di abbellire il giardino che è questo mondo, ed è il nostro duro lavoro, che ci permette di vederlo quel giardino la, che è il nostro mondo”.
Quando Hashem ha creato il mondo, ha avuto una visione. Un posto materiale dove la shechina, la luce di Hashem, poteva abitare. Dove Hashem si potesse sentire a casa.
Il piano d’azione era un po’ piu complicato (per noi;). Col primo peccato di Adam e Chava, Hashem si è ripreso indietro un po’ di quella luce. Da là, è stato un tira e molla. La luce di Hashem è tornata su, poi i nostri Tzadikim sono riusciti a riportarla giu. Moshe Rabenu, il settimo, era quello che aveva terminato la missione quando ci fu stata data la Torah su Har Sinai. Il mondo era giunto alla perfezione. E ancora col vitello d’oro, la luce ritornó su. I Tzadikim hanno fatto tanto duro lavoro per noi, e ancora oggi noi ci stiamo lavorando. Per avere tutta quella luce indietro. Finche arriverà la Gheula, l’attesa redenzione.
Il Rebbe ce lo ha detto chiaramente. Come Moshe, anche noi siamo i settimi. La settima generazione. E abbiamo delle forze speciali. Per portare a termine quel ciclo, per terminare quella prima visione di Hashem. Con tanti sacrifici, sacrificando i nostri istinti naturali, facendo solo un piccolo sforzo in piu.
Questo è il nostro compito.
A volte basta aumentare un po’ di luce, al posto di combattere il buio.
Tipo accendere le candele di Shabbat? O farlo qualche minuto prima del tempo? Per noi donne.
Mettere una moneta in Tzedaka? O una moneta in piu?
O forse impegnarsi a fissare un piccolo momento di studio durante una settimana che passa in un battito di ciglia.
Let’s do something!
Sono le piccole cose, ma sono enormi sforzi. Questi, portano il cambiamento.
Cosi ci ha detto il Rebbe.
Ora piu che mai chiediamo per la rivelazione di tutta quella luce. La Gheula quella completa.
Un abbraccio di Shabbat Shalom,
Yours,
Mushki Piha Krawiec
בס"ד