I tefillin sono dei filatteri fatti di pelle di animale. Tutti neri. Dentro la scatoletta, le parole dello Shema. Il ricordo dell’unità di Hashem, il ricordo dell’uscita dall’Egitto. L’uomo li arrotola sul braccio sinistro, mentre il secondo paio va sulla testa, in mezzo agli occhi.
I versetti che descrivono la Mitzva del Tefillin si leggono proprio nella parasha di questa settimana.
“Ukshartam leot al yedecha” – E le legherai al tuo braccio- questo verso si riferisce ai Tefillin che si legano al braccio.
“Vehayiu letotafot Bein Einecha” – e saranno come separatore tra i tuoi occhi – riferendosi al Tefillin della testa.
Analizzando questi due versi notiamo che per i due tipi di Tefillin, vengono usati due forme grammaticali differenti.
Il primo, “lo legherete” sarebbe una forma attiva. C’è un’azione da fare.
Il secondo invece, usa un tono passivo. Sarà un separatore. Qui l’azione non è prevista.
Ma la bellezza del significato dei Tefillin si nasconde più in profondità. Tra quelle lettere che denotano dei messaggi differenti. Perché non viene usato lo stesso verbo per entrambi i Tefillin. Perché usare due verbi diversi? E perché usare verbi con forme diverse? Un mix tra il dinamico ed uno stato permanente.
Moach Shalit al Halev – Il cervello domina il cuore, è praticamente il modo operandi della filosofia chassidica. Controlla il tuo cuore. I tuoi impulsi.
I tuoi sentimenti.
Ma cosa vuol dire davvero questo piccolo, complicato, e intenso versetto?
Ma si dai controllati! Noi siamo robot no?
O forse siamo umani.
Siamo profondamente umani.
Umanamente umani.
Imperfettamente umani.
Siamo fatti così, esseri con tentazioni, con impulsi, con sensazioni, e tanti sentimenti.
Magari un minuto ti senti così e il minuto dopo ti senti cosá.
E cosa ne fai, tu, di di tutto ciò?
Cosa fai quando arriva quell’emozione che non hai voglia di sentire. Quando arriva quel pensiero intrusivo che non ha né un senso, né ti rappresenta.
Cosa facciamo noi con tutto quel materiale derivante direttamente dal nostro cuore.
Bhe. In primo luogo lo accettiamo.
Ma non accettiamo il pensiero, o l’emozione.
Accettiamo il fatto che in quanto esseri umani siamo programmati ad averli, quei sentimenti.
Questo è ciò che accettiamo.
Non ci lasciamo prendere dal sentimento perché sappiamo che la vita è fatta di sentimenti buoni e sentimenti che non sono affatto santi, e che non ci santificano.
E forse quando capiamo questo, non rimaniamo vittime di quel sentimento, ma riusciamo ad uscirne. A scacciarlo. A fare una scelta.
Perché sappiamo che è il nostro compito. Quello di costantemente monitorare. Di costantemente cercare, di lavorare su quel nostro cuore birichino.
E questo viene implicato nell’uso di un verbo attivo, riguardando il Tefillin del braccio.
Stai in guardia. Agisci. Fai qualcosa.
Mentre per la nostra testa…
D-o ci dice sappi che la testa è una macchina tutta tua. Non è pieno di sorprese come il cuore. Ma è freddo. È logico. È la ragione.
Il tuo cervello, dovrebbe sempre sapere quale sia la cosa giusta. E se non lo sa, vai e istruisciti. Cerca una guida.
Affinché il tuo cervello possa essere sempre là, sulla direzione giusta.
Ed è qui, che ci riferiamo al Tefillin della testa. Quello, deve essere in uno stato costante. Vigile. “Vehayiu”. Che sia così.
Che il tuo cervello non cada nelle bragaglie del tuo cuore.
Che non si lasci trasportare da quei sentimenti intrusivi. Che non si lasci ingannare dall’ emozione temporanea.
Moach Shalit Al Halev.
Il cuore ha la sua natura pazzarella. Dinamica.
Ed è legittimo che sia così.
E allora, Agisci.
Che sia il tuo cervello a dare l’ultima parola.
Good Shabbes.
Mushki Piha Krawiec
*Ispirato dalle parole del Rebbe, ed una lezione di Rabbi Shais Taub sulla Parasha Vaetchanan.